Quella “enorme frana”, una minaccia da mezzo secolo. I TRE LIVELLI: ATTENZIONE, PREALLARME, ALLARME – Secondo i tecnici nazionali l’onda anomala è ipotesi estrema

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E’ il luglio del 1970, mezzo secolo fa. Tavernola va in cronaca su tutti i quotidiani nazionali. La notizia è che, in località “Squadre”, alle spalle delle cementeria, si è aperto un enorme fronte di frana. L’allargamento improvviso di alcune fessure nel terreno fa temere il peggio. Vengono evacuate le strutture sorte in riva al lago a Montisola e nei paesi rivieraschi bresciani ad est dell’isola. Le accuse ai titolari della cementeria di aver scavato senza badare alle conseguenze si susseguono per tutta estate. Il “bar Squadre” è lesionato irrimediabilmente (e saltando in avanti di mezzo secolo, domenica scorsa ha subito un ennesimo cedimento, anche se la struttura è un rudere). 

Il movimento franoso, torniamo al 1970, ha fatto abbassare di un metro la strada Vigolo-Parzanica. Si installano impianti al tempo “sofisticati” che dovrebbero mettere eventualmente in allarme per eventuali tempestive evacuazioni. 

La frana è “attiva”

Come succede per i vulcani, la frana è tornata “attiva”. Dal 1970 era rimasta pressoché ferma, fino alle scorse settimane. Secondo una versione sarebbe stata una leggera scossa di terremoto registrata appunto due settimane fa (epicentro Viadanica, di là dal Colle del Giogo che fa da confine tra Tavernola e Viadanica) a far “muovere” l’enorme massa che minaccia di riversarsi nel lago provocando quello che viene temuto come un tsunami sulla riva bresciana (con temuto ritorno su quella bergamasca dopo aver colpito la riva opposta). 

Secondo gli esperti sarebbe di 1 milione e mezzo il materiale che potrebbe “scivolare” nel lago. E anche qui il timore è che non si tratti di un lento “scivolamento” ma di un crollo improvviso e totale che farebbe la… differenza nelle conseguenze.

Cmentificio chiuso (per sempre?)

Nel frattempo il cementificio è chiuso. E anche qui si apre il fronte delle discussioni: quel complesso industriale al centro delle polemiche negli ultimi anni, “colpevole” della stessa minaccia di frana (ma nei lunghi decenni del secolo scorso), adesso è inattivo. 

Legambiente del Basso Sebino, con il presidente del Circolo di zona Dario Balotta, auspica la sua chiusura definitiva: “L’instabilità del versante di Tavernola Bergamasca causata dalle attività estrattive ed edificatrici dell’uomo, ripropone con forza il tema dello sfruttamento intensivo del territorio e della sicurezza dei cittadini di Tavernola. Compresi quelli di Monteisola della sponda est che in caso di rotolamento dell’incombente frana potrebbe causare un’ondata capace di travolgere le abitazioni dei residenti di Siviano Porto ora prontamente evacuati. Lo sfruttamento delle cave di marna per le attività del cementificio e la selvaggia edificazione di Parzanica hanno compromesso un’intera porzione di territorio. Una massa di rocce e materiali terrosi quantificata in un milione di metri cubi potrebbe staccarsi dal Monte Saresano mettendo a rischio l’abitato e l’incolumità dei cittadini. Chiuse anche le strade, chiuso il Cementificio, sospese le attività di cava, isolato il comune di Parzanica. Dopo l’emergenza, sono al lavoro anche i tecnici della Bicocca e il radar di Stromboli, bisogna tornare alla normalità con un piano di riassetto e di prevenzione del territorio, la fine delle estrazioni e conseguentemente la chiusura del cementificio causa primaria di questa situazione”.

Lo stesso auspicio di chiusura del cementificio a questo punto lo coltiva la maggior parte dei cittadini tavernolesi. La ricaduta occupazionale viene ritenuta modesta (una trentina di posti di lavoro persi a livello locale, perché molti dei dipendenti attuali vengono da fuori). 

La storia del cementificio (scritta da Cristina Bettoni su questo giornale anni fa) è altalenante per quanto riguarda l’atteggiamento del paese verso il “suo” complesso industriale. Basti ricordare che già il 1 maggio 1969 “saltò” la Giunta capeggiata dal sindaco ing. Cortinovis (che fu direttore del cementificio) proprio sul tema delle emissioni di fumi e polvere. Poi i referendum tutti a favore della chiusura, le trattative, la promessa di una riduzione del 30% del complesso (per ora arenata) e insomma il totale disamore tra popolazione e cementificio. Se i tavernolesi sono stati chiamati “màia pòlver” ovviamente una ragione c’è, mezzo paese, quello ad est della valle del Rino, aveva eternamente i tetti… bianchi, così come Cambianica, la frazione che sta sopra il capoluogo. 

Allarme e allarmismo

Ma adesso c’è ben altro. Ci sono due atteggiamenti, quello del “non fate allarmismo” e quello dei piani di evacuazione che si stanno predisponendo paese per paese. E soprattutto la paura (che sfiora il panico) si è creata sulle sponde di Monteisola e di Marone dove, nell’ipotesi peggiore, potrebbe arrivare l’onda provocata dal crollo: anche qui ipotesi (se mai l’onda ci fosse) che vanno dal minimo di 1,80 metri di altezza dell’onda, fino al massimo di 5 metri. Capite che la differenza è comunque enorme. 

Chi minimizza fa osservare che anche in caso di cedimento dell’area di frana, il materiale avrebbe aree di scarico e di riempimento nei vari terrazzamenti che erano stati creati quando la miniera “Ognoli” era attiva e le stesse strade che tagliano orizzontalmente il pendio potrebbero frenare e inglobare molto di quel materiale fino all’ipotesi di minimo impatto “praticamente a lago arriverebbe pochissimo materiale”, quindi nessuno tsunami sulle sponde bresciane e nessuna ondata di ritorno sulla sponda bergamasca. 

Le disgrazie e le “grazie”

Il paese di Tavernola e le sue frazioni (Cambianica che sta in alto e Bianica addirittura sulla sponda opposta del torrente Rino) sembrano aspettare gli eventi con relativa tranquillità. Il paese ha memoria delle sue disgrazie, gli straripamenti del torrente nel 1896, nel 1928, nel 1938, nel 1950 e quella del 2 luglio 1990. Aggiungetevi l’avvallamento del 1906 che si è portato via tutto il litorale. La Madonna di Cortinica (il santuario a monte del paese) fa le “grazie” nei limiti del possibile per proteggere i suoi inquieti devoti tavernolesi. 

I tecnici nazionali

La minaccia della frana ha chiamato in campo tecnici a livello nazionale. Tra tutti il prof. Nicola Casagli dell’Università di Firenze incaricato dalla Protezione Civile. Naturalmente i due Prefetti, di Bergamo (Enrico Ricci) e di Brescia (Attilio Visconti) coordinano i piani di emergenza, così come la Regione, la Provincia con il suo presidente Gianfranco Gafforelli, la Comunità Montana dei Laghi (con la presidente Adriana Bellini), i sindaci dei Comuni interessati, ovviamente Tavernola (Ioris Pezzotti), di Parzanica (Battista Cristinelli) e di Vigolo (Gabriele Gori) e lo stesso direttore del Cementificio (chiuso) Antonio Granata. 

La frana viene “monitorata” con i sistemi già in atto dal 2004 da parte delle varie proprietà del cementificio che si sono susseguite in questi anni ma anche con nuovi sistemi più sofisticati (Chiamato SAR) e rilevazioni dall’alto (GPS). 

I tre Comuni si affidano allo studio “Geoter” di Ardesio, il cui titolare fondatore Daniele Ravagnani (morto lo scorso anno di Covid) ha lasciato la direzione al geologo Sergio Santambrogio. 

Parzanica isolata

Oltre alla chiusura del cementificio sono state ovviamente chiuse le strade interessate allo smottamento (quella che saliva a Parzanica, paese adesso isolato) e soprattutto la litoranea per cui il collegamento con Riva di Solto e Lovere non c’è più. E’ stato posto in atto un collegamento via lago con i battelli. 

Per Parzanica la Comunità Montana ha stanziato 160 mila euro per allargare una vecchia strada (Colderone) agro-silvo-pastorale che arriva fino alla Brasca di Vigolo, per poi scendere a Tavernola passando per Cambianica e andare verso Predore e Sarnico. Si allargano alcuni passaggi, creando piazzole e asfaltandola. I lavori sono in corso. 

I tre “livelli” di allarme

E arriviamo al punto: “Eppur si muove” abbiamo titolato riprendendo una celebre frase attribuita a Galileo Galilei. Il movimento è costante, varia da 5 millimetri a 2 centimetri al giorno. Si teme la pioggia annunciata per questo fine settimana. Potrebbe accelerare la frana provocando il suo cedimento definitivo. Ma l’eventuale cedimento lascerebbe il tempo per dare l’allarme. Si è stabilito di fissare in tre fasi: il livello di “attenzione” (movimenti con velocità mediamente costante), quello di “preallarme” (accelerazioni) e quello di “allarme” (collasso imminente).

Attualmente (mentre scriviamo ed è martedì 2 marzo) siamo ancora in fase di “attenzione”.

Gli esperti nazionali non hanno escluso “un’onda anomala” ma come ipotesi estrema. Intanto tutti i Comuni devono predisporre i piani di emergenza indicando le aree di sgombero…

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